Dibattito sulla nuova chiesa


L’opera di Galantino lontana dalla “tradizione”?

Semplicemente architettura.

L’ultima grande stagione dell’architettura italiana si inscrive nel ventennio compreso fra le due guerre mondiali. Le opere maggiori, prevalentemente edifici pubblici, sono contrassegnate nella quasi totalità dall’adozione di materiali litici nazionali declinati progettualmente sia in forme convenzionali, dalle correnti più tradizionaliste, che in forme innovative dai giovani architetti emergenti.

Negli edifici più rappresentativi dell’architettura moderna italiana sembrano emergere - pur nella specificità e diversità delle opere - due caratteri dominanti. Il primo attiene all’estetica delle superfici e dei volumi, all’immagine stessa dell’architetttura sospesa fra innovazioni e atmosfere di tradizione; il secondo investe, più specificatamente, la concezione dello spazio.

Negli esterni il largo e diffuso impiego di rivestimenti litici, posti a conferire tratti rappresentativi ad un’architettura civile, pubblica, costituisce il contributo più peculiare ed originale della ricerca italiana che, così, si distingue rispetto all’uso di materiali industriali, di superfici ad intonaco ricorrenti nelle opere delle avanguardie europee. In tale azione si consumano molto delle tensioni creative e della carica sperimentale dell’architettura nel nostro Paese. Ma è davvero questa la strada da seguire oppure in Italia c’è, in realtà, bisogno di cominciare a guardare oltre alla “tradizione” imparando ad accettare qualcosa che reputiamo “diverso” solo per il semplice motivo che ci vien difficile comprenderlo?

L’incontro dibattito tenuto, così, nella Nuova Chiesa di Gesù Redentore il 4 aprile nella rassegna “Futuro. Fra 30 anni quale chiesa, quale società?", con la presenza dell’illustre architetto svizzero Mario Botta, del progettista Galantino e del Vescovo della città di Modena Mons.Benito Cocchi, ha acceso, nuovamente, questa incognita sulla difficoltà, nella cultura italiana, di interpretare l’architettura moderna.

Bisogna, quindi, far fronte ad un nuovo sistema concettuale di cosa vuol dire fare architettura oggi, un’arte fatta di sostanza e allo stesso di “apparenza”. Tenere in considerazione un continuo sviluppo della società verso qualcosa che guarda sempre di più al futuro, orientandosi verso un concetto evento che diventa immediatamente pubblicità. Indiscutibilmente imparagonabili i metodi di ricerca dell’architetto svizzero, che ha presentato alcune delle sue opere più note al grande pubblico, in relazione alla filosofia minimalista dell’architettura di Galantino, ma certamente unitarie nel linguaggio interpretativo del saper, entrambi, sorprendere ed emozionare, all’interno dell’involucro architettonico da loro progettato. Il mattone utilizzato da Botta è portatore di un linguaggio che fa parte certamente della cultura italiana, ma l’opera di Galantino - seppur caratterizzata da figure architettoniche essenzializzate, asciutte, prive di ogni retorico riferimento alla tradizione - è comunque portatrice di una implicita continuità storica, di una raffinata e moderna evoluzione della concezione classica. Lungo questa direzione, l’opera dell’architetto milanese, si presenta quindi alla stagione del rinnovamento dell’architettura moderna italiana con un linguaggio che vale come autentico capolavoro, capace di parlare, oggi, alla ricerca contemporanea.

Se l’architettura delle avanguardie europee si definisce sotto il profilo costruttivo prevalentemente attraverso intelaiature strutturali con pilastri, travature, setti parietali in calcestruzzo armato o in acciaio che assumono un valore autonomo, enucleabili all’interno degli organismi edilizi e spaziali, la cultura progettuale italiana, tra cui lo stesso complesso parrocchiale di Gesù Redentore, non azzera completamente i caratteri connessi alla costruzione muraria, pur impegnandosi nell’evoluzione dell’intonaco in superficie di chiusura perimetrale, alternandolo con eleganti contrasti della pietra naturale.

La nostra tradizione nazionale probabilmente, oggi, è promotrice di un certo “spirito del tempo”, interpretato dagli uomini con eccessivo dogmatismo, introducendone una decisa componente deterministica al divenire dell’arte che traccia confini dai quali non è concesso uscire senza il rischio dell’esilio o dell’oblio, allora si capisce come il consacrare un unico punto di vista ad interprete autentico di un’epoca abbia potuto oscurare nuovi metodi di ricerca nell’architettura contemporanea, non per questo, non icona di capolavori del progettare oggi, e nel futuro.

m.l.


immagini coperte da copyright. fotografie di michele laurenzana


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